Poco tempo fa mi sono iscritta a questo interessante blog in lingua inglese e mi è arrivata la notifica di questo bel post sulla personalizzazione – eterno problema di noi insegnanti di inglese, che ci ritroviamo in prima superiore con classi numerose ed estremamente disomogenee. Poiché oggi è finito l’anno scolastico, ho deciso di premiarmi dedicando un po’ di tempo alla comunità invece che ai doveri. Ecco dunque un “regalo” agli amici che hanno camminato al mio fianco in queste settimane: la traduzione del post.
Ti è mai capitato di pensare che la formazione iniziale sulla didattica ti abbia imbrogliato? Alcuni di noi sono stati così sfortunati da avere quella sensazione al momento stesso della formazione, mentre altri hanno dovuto aspettare di essere sul campo, prima di cominciare a riflettere sugli strumenti che non sono mai stati loro dati.
Naturalmente, è solo con l’esperienza che si arriva a padroneggiare l’insegnamento; ma sono continuamente sorpresa da quanto facilmente si trascuri un particolare aspetto della didattica: la personalizzazione.
Sono stata una delle studentesse più entusiaste nel mio gruppo di futuri insegnanti, eppure mi sono laureata con l’impressione molto sconcertante che personalizzare significasse programmare il doppio o addirittura il triplo. Come ciò fosse possibile, ci venne suggerito, l’avremmo scoperto con la pratica. Mentre barcollavo sotto il peso di orari pesanti, burocrazia costante (e piuttosto inutile), comportamenti studenteschi stimolanti (eufemismo!) e programmi che cambiavano di continuo, pensavo con profonda gratitudine al fatto che le mie classi fossero “streamed” (spesso negli Stati Uniti si usa dividere gli studenti in gruppi omogenei a seconda del successo scolastico; questa pratica si chiama “streaming” ed assomiglia un po’ alle vecchie “classi differenziali” italiane – nota della traduttrice) e che esistesse una bella raccolta di unità didattiche sperimentate che potevo usare.
Anni dopo, nel contesto di classi dalle capacità miste (non credo più nello streaming), ho cominciato finalmente a capire cosa sia la personalizzazione, ma soprattutto cosa non è. Come è già stato detto da altri, personalizzare non significa programmare di più, bensì programmare diversamente.
Per coloro che amano documentarsi, il punto di partenza imprescindibile è rappresentato da Tomlinson e Marzano, i quali forniscono utilissimi e concreti esempi che si riferiscono ad età e discipline diverse. Da quando ho messo in pratica i suggerimenti di questi (e altri) “pesi massimi”, non insegno più “allo studente medio” e ho notato miglioramenti reali nei miei allievi. Quelli che mi davano preoccupazione perché non erano sufficientemente stimolati, ora mi indicano nelle loro riflessioni e nei feedback che apprezzano moltissimo la nuova offerta di esercizio intellettuale, mentre coloro che disgraziatamente si abituavano al fallimento come loro destino scolastico ineluttabile, ora passano visibilmente emozionati dal completamento di un compito all’altro.
Devo ammettere onestamente che non si tratta di una panacea – nessuna strategia presa da sola può esserlo, secondo me – , ma accettare questa metodologia tutto sommato non troppo complicata mi ha dato strategie pratiche per arrivare ad ogni studente in ogni circostanza. Non solo si accorda con la mia filosofia di dare significato al contributo dei singoli allievi, ma rende anche il concetto di apprendimento personalizzato molto più gestibile.
Essendo interessata a sviluppare il dibattito in particolare sul mio contesto disciplinare che è l’Inglese (Language Arts), ho creato un gruppo Edmodo cui ci si può iscrivere cliccando QUI (vedi articolo originale).
A chi cerca consigli pratici, non potrò mai raccomandare abbastanza il wiki “Dare to Differentiate” (“Osa personalizzare”) come fonte di risorse concrete che in pochissimo tempo ti mettono in grado di agire, ma fornisco il link con un caveat: prenditi innanzitutto il tempo di leggere con calma la documentazione sul tema, perché altrimenti potresti sottovalutare gli strumenti consigliati. E’ stata proprio la lettura ad aprirmi gli occhi sull’uso di materiali già noti (come gli schemi grafici) in modo nuovo.
Se tu, come è successo a me, hai pensato che già personalizzavi al massimo delle tue possibilità, prova a riguardare: potresti trovare qualcosa di nuovo che potenzia le tue stesse idee e arricchisce il tuo bagaglio strategico, portando una nuova ventata di energia in classe.
Grazie! Io non insegno inglese e….lo mastico veramente poco, perció mi ha fatto piacere la tua traduzione perché quello della differenziazione é un tema che mi interessa molto. Cercheró il materiale in italiano
Si dice “differenziazione” anche in “didattichese” italiano? Mi era chiaro che non fosse “individualizzazione” (anche la documentazione inglese è chiara su questo punto), ma mi chiedevo appunto… Fammi sapere, così eventualmente correggo la traduzione.
No,no,no! Io la chiamo cosí! Il perché é semplice: tutte le volte che leggo la parola ” individualizzazione” mi sento mancare perché immagino ventisette programmi diversi per ventisette alunni di una classe…. Insegno da tanti anni e credo di aver sempre “calibrato” ( ecco una parola che mi piace di piú) i miei insegnamenti e le mie modalitá sui ragazzini che avevo in classe (a volte con successo, a volte no…). Ci sono dei momenti peró in cui non riesco a sentirmi adeguata, mi sembra di non combinare niente,…. Quando ho letto il tuo post che parlava di QUALITÁ e non di QUANTITÁ della programmazione, mi sono detta: ce la posso fare!
Anche questo é uno dei tanti aspetti positivi di questo per-corso: incontrarsi.
🙂 Credo che nessuno di noi riesca ad INDIVIDUALIZZARE più di tanto… Non è umano, nelle condizioni attuali. Quest’anno avevo 111 allievi, ma i miei poveri colleghi di scienze e arte hanno 9 (nove) classi, e matematica li segue da vicino.
Non ho ancora studiato la documentazione citata sopra, ma mi sento esattamente come te, a intervalli regolari: ci sono dei momenti però in cui non riesco a sentirmi adeguata, mi sembra di non combinare niente….